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La normativa europea in materia di ESG e l’impatto sui doveri fiduciari degli amministratori
Periodico approfondimento a cura del laboratorio ESG di Graziadei Studio Legale. Di Emanuele D'Onorio, Graziadei Studio Legale, Associate.

01/06/2021

Indice.
1. Introduzione.              
2.
La Direttiva sulle informazioni non finanziarie.     
3. La Shareholder Rights Directive II. 
4. L’Action Plan della Commissione UE.             
5. La Proposta di Direttiva per realizzare una “governance societaria sostenibile”.

1.Introduzione.

Il percorso verso una nuova era del capitalismo, in cui all’interesse economico si affianca anche l’interesse a che l’attività di impresa non comporti effetti negativi sul piano ambientale e sociale, è oramai in definitiva ascesa.
 



Tale transizione, che configura un cambiamento culturale prima che economico, muove dalla consapevolezza che i rischi legati al cambiamento climatico e all’evidente aumento delle disuguaglianze sociali [1] potrebbero, se non adeguatamente prevenuti, determinare un effetto devastante sull’intero sistema economico, al punto da porre in dubbio la sua esistenza per come lo conosciamo oggi.

Sulla spinta delle importanti iniziative di politica internazionale finalizzate a contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico [2], negli ultimi anni a livello euro-unitario sono state introdotte delle specifiche misure normative in ambito societario per sensibilizzare le imprese e gli investitori verso una gestione sociale orientata allo sviluppo sostenibile, ovvero incentivando le stesse ad un progressivo abbandono di strategie volte al perseguimento del solo profitto di breve termine (short-terminism), in favore della creazione di valore nel medio-lungo periodo (long-terminism).



Allo stato il quadro normativo in materia ESG è ancora frammentato e in costante sviluppo, entrando ora in una fase in cui i principi di carattere programmatico finalizzati ad armonizzare l’attività di impresa con la tutela dell’ambiente e delle parti sociali cominciano ad essere declinati in modo più puntuale quali nuove regole di governo societario.

A prescindere dai diversi contenuti delle misure normative, il punto fondamentale del tema è l’evoluzione del concetto di interesse sociale nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.

In una società, come noto, la definizione della strategia e la gestione dell’attività di impresa spettano agli Amministratori, ed è quindi principalmente su questi ultimi che ricade il compito di interpretare il concetto di sviluppo sostenibile in modo da tenerne conto nelle decisioni che assumono nell’interesse dell’impresa.

È importante allora fornire innanzitutto una breve sintesi delle principali misure comunitarie in materia ESG, anche nell’ottica di possibili future iniziative, al fine di analizzare l’impatto delle medesime sui doveri degli amministratori, soprattutto nella prospettiva della considerazione degli interessi dei c.d. stakeholder, la cui tutela è oggi ritenuta essenziale per uno sviluppo (rectius successo) sostenibile della società.

 

2. La Direttiva sulle informazioni non finanziarie

La prima iniziativa euro-unitaria finalizzata ad introdurre in ambito societario l’attenzione sulle tematiche ESG è stata la Direttiva sulle informazioni non finanziarie (Dir. 2014/95/UE approvata il 29 settembre del 2014 dal Consiglio europeo ed entrata in vigore nel 2018) [3], che ha imposto alle grandi società degli obblighi di disclosure riguardo alla gestione dei rischi ambientali e sociali connessi all’attività d’impresa.

La predetta Direttiva, muovendo dall’assunto secondo cui “la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un'economia globale sostenibile coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell'ambiente” [4], ha imposto alle società di grandi dimensioni [5] di pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario che contenga informazioni sull’impatto dell’attività societaria in ambito ambientale e sociale, considerando anche le iniziative intraprese per migliorare i rapporti con i dipendenti e la lotta alla corruzione, sia attiva che passiva.

Gli elementi che le società interessate devono indicare nella Dichiarazione non finanziaria sono, in dettaglio:

  1. una breve descrizione del modello aziendale dell'impresa;
  2. una descrizione delle politiche applicate dall'impresa, comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;
  3. il risultato di tali politiche;
  4. i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall'impresa;
  5. gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l'attività specifica dell'impresa.

L’analisi deve essere condotta dalla singola impresa secondo il principio di materialità, e cioè tenendo conto di quali siano in concreto i maggiori rischi in ambito ambientale e sociale che corre la società in considerazione dell’attività svolta.

La Direttiva sulle informazioni non finanziare ha comportato, anche se indirettamente, un primo ampliamento dei doveri fiduciari degli amministratori delle società interessate, che per assolvere efficacemente agli obblighi di disclosure in essa contenuti devono oggi necessariamente e preliminarmente considerare i temi ESG oggetto di comunicazione, sia sotto il profilo della gestione del rischio che sotto il profilo delle opportunità di sviluppo.

 

3. La Shareholder Rights Directive II

Un ulteriore passaggio fondamentale del percorso normativo di incoraggiamento delle società ad una gestione orientata allo sviluppo sostenibile è avvenuto con l’aggiornamento nel 2017 della Direttiva sui diritti degli azionisti, c.d. Shareholder Rights Directive II – “SHRD II” [6], finalizzata a promuovere la partecipazione e l’impegno a lungo termine degli azionisti.

La SHRD II, tra i vari interventi finalizzati a promuovere la trasparenza e la conseguente fiducia degli investitori nel mercato di capitali, nell’ambito della governance ha profondamente innovato la disciplina sulle politiche di remunerazione degli amministratori e sull’informativa al mercato delle retribuzioni effettivamente erogate, rafforzando:

  1. la trasparenza delle retribuzioni;
  2. il collegamento tra la remunerazione degli amministratori e gli obiettivi di lungo termine;
  3. la partecipazione degli azionisti nell’approvazione della politica di remunerazione della società.

In dettaglio, la SHRD II impone agli Stati membri di prevedere normativamente la redazione della politica di remunerazione da parte delle società quotate e di prevedere altresì che la stessa sia soggetta al voto dell’Assemblea degli azionisti, che può essere vincolante o consultivo (art. 9 bis SHRD II).

In tema di ESG la novità più rilevante attiene alle finalità e al contenuto della politica di remunerazione, che secondo la SHRD II deve “contribuire alla strategia aziendale, agli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società e deve illustrare in che modo fornisce tale contributo” [7].

La politica di remunerazione degli amministratori e dei dirigenti apicali, inoltre, come revisionata dalla SHRD II deve tenere conto anche degli interessi degli stakeholders, spiegando come nella stessa  “è stato tenuto conto del compenso e delle condizioni di lavoro dei dipendenti della società nella determinazione della politica di remunerazione” e, quanto alla componente variabile della medesima, indicando “i criteri da utilizzare basati sui risultati finanziari e non finanziari, tenendo conto, se del caso, dei criteri relativi alla responsabilità sociale d'impresa” [8]. Le società, inoltre, sono chiamate a spiegare nella politica di remunerazione anche in che modo gli obiettivi di performance scelti contribuiscono allo sviluppo sostenibile, dando successivamente contezza dell’effettivo raggiungimento o meno di tali obiettivi da parte degli amministratori e dei dirigenti apicali.

I predetti obblighi in tema di remunerazione derivanti dalla SHRD II, che rendono chiaro il disfavore del Legislatore euro-unitario per politiche di gestione sociale finalizzate alla sola massimizzazione dei dividendi nel breve termine, impongono quindi agli amministratori di considerare nella gestione sociale e nella declinazione degli obiettivi da raggiungere non solo gli aspetti tipicamente finanziari, ma anche l’impegno dell’impresa nello sviluppo di politiche virtuose in ambito ambientale e sociale.

In termini di sviluppo sostenibile l’emanazione nel 2017 della SHRD II costituisce un’evoluzione più profonda rispetto alla Direttiva sulle informazioni non finanziarie del 2014, in quanto, mentre gli obblighi di disclosure contenuti in quest’ultima si risolvevano essenzialmente in un obbligo di compliance a livello di trasparenza e informazione, con la politica di remunerazione ridisegnata dalla SHRD II, fermi gli obblighi di comunicazione e trasparenza, si assiste invece al primo impulso normativo volto ad integrare la sostenibilità, e quindi la considerazione dei fattori ESG, negli obiettivi strategici dell’impresa.

 

4. L’Action Plan della Commissione UE

Il percorso normativo di integrazione della sostenibilità nella governance è proseguito con l’Action Plan – Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile della Commissione Europea dell’8 marzo 2018 [9], finalizzato ad incentivare il flusso di capitali verso la finanza sostenibile, ad integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi di impresa, ed a promuovere la trasparenza e la visione di lungo periodo nella gestione sociale.

L’Action Plan del 2018 si fonda su uno studio presentato il 31 gennaio 2018 da una commissione di esperti in finanza sostenibile istituita dalla Commissione UE nel 2016 [10], secondo cui per lo sviluppo di una finanza sostenibile è necessario: “i) migliorare il contributo della finanza alla crescita sostenibile ed inclusiva finanziando le esigenze di lungo termine della società; ii) consolidare la stabilità finanziaria integrando i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nel processo decisionale relativo agli investimenti”.

Il Piano di azione per promuovere la finanza sostenibile ha individuato dieci aree di intervento, tra cui, per quanto in particolare riguarda la governance, assume rilievo l’Azione n. 10, con la quale la Commissione UE ha manifestato l’intenzione “di promuovere un governo societario sostenibile e attenuare la visione a breve termine nei mercati di capitali (azione 10). Con riferimento a quest’ultima azione, infatti, la Commissione, non prevede attualmente ipotesi normative ma ha già avviato iniziative di studio volte a valutare l’eventuale necessità di imporre ai consigli di amministrazione di elaborare una strategia in materia di sostenibilità e di chiarire le norme che impongono agli amministratori di agire nell’interesse a lungo termine dell’impresa” [11].

Nel biennio successivo la Commissione UE ha quindi avviato tale attività di analisi, commissionando uno studio finalizzato ad individuare le possibili misure in materia di governance necessarie per promuovere la sostenibilità nella gestione dell’impresa [12].

Le conclusioni del predetto studio hanno evidenziato una ancora persistente tendenza allo short terminism delle società europee, suggerendo l’opportunità per la Commissione UE di un intervento normativo in materia di doveri fiduciari degli amministratori e di governance societaria, con i seguenti tre obiettivi principali:

  1. rafforzare il ruolo degli amministratori nel perseguire l’interesse a lungo termine dell’impresa;
  2.  integrare la sostenibilità nella strategia e nel processo decisionale dell’impresa;
  3. promuovere pratiche di governance che contribuiscano alla sostenibilità dell'impresa, con interventi sulle politiche di remunerazione, sulla composizione del consiglio di amministrazione e sul coinvolgimento dei portatori di interessi.

 

5. La Proposta di Direttiva per realizzare una “governance societaria sostenibile

Sulla base di tale analisi la Commissione UE nel luglio 2020 ha pubblicato una Proposta di direttiva per realizzare una “governance societaria sostenibile”, che è stata posta in consultazione pubblica dal 26 ottobre 2020 all’8 febbraio 2021 ed è allo stato in attesa di adozione [13].

La Proposta in materia di governance sostenibile, come indicato dalla stessa Commissione UE, “intende migliorare il quadro normativo dell'UE in materia di diritto delle società e governo societario. Consentirebbe alle imprese di concentrarsi sulla creazione di valore sostenibile a lungo termine piuttosto che sui benefici a breve termine. Punta ad allineare meglio gli interessi delle imprese, dei loro azionisti, dei loro gestori, delle parti interessate e della società. Aiuterebbe le imprese a gestire meglio le questioni legate alla sostenibilità nelle loro attività e catene di valore per quanto riguarda i diritti sociali e umani, i cambiamenti climatici, l'ambiente, ecc.”.

Per raggiungere i predetti obiettivi, le misure previste nella Proposta di direttiva ipotizzano la possibile:

  • ridefinizione dei doveri fiduciari degli amministratori, esplicitando il dovere degli stessi di perseguire gli interessi dell’impresa nel lungo termine e, a tal fine, di considerare non solo gli interessi dei soci ma anche quelli dei c.d. stakeholders, con la possibilità di definire anche le modalità attraverso le quali tener conto degli interessi dei predetti stakeholders, sino ad ipotizzare un necessario bilanciamento con gli interessi dei soci;
  • estensione anche ai dipendenti, o alle persone interessate dalle attività dell'impresa rappresentate da organizzazioni della società civile, della legittimazione a promuovere azioni di responsabilità nei confronti della società e degli amministratori, per favorire l’enforcement dei doveri fiduciari degli amministratori in tema di sostenibilità;
  • introduzione di un obbligo di diligenza delle imprese rispetto ai potenziali impatti ambientali e sociali della propria catena di fornitura e ad accompagnare tale obbligo da uno specifico sistema di enforcement;
  • introduzione di nuovi vincoli specifici alle politiche di remunerazione degli amministratori, ai requisiti di professionalità degli amministratori in materia di sostenibilità ambientale e sociale, ai limiti alla distribuzione di dividendi e all’acquisto di azioni proprie. [14]

Seppure allo stato non è possibile comprendere in dettaglio la portata e l’incisività delle misure contenute nella Proposta della Commissione UE in materia di governo societario sostenibile, quest’ultima inequivocabilmente conferma che nei prossimi anni il tema della sostenibilità sarà sempre più centrale nel diritto societario, superando ogni prospettiva che limita gli ESG ad adempimenti di sola compliance oppure a manovre di efficace e trasparente comunicazione sociale, per compiere il definitivo salto dato dall’integrazione della sostenibilità nell’interesse sociale tramite l’imposizione agli amministratori di specifici doveri in tale senso.

Sembra dunque che l’Unione Europea si stia velocemente avvicinando alle tappe finali del percorso normativo di integrazione dei fattori ESG nelle strategie e nelle attività di impresa, che da qui a breve imporrà [15] agli Amministratori di tenere conto anche degli interessi degli stakeholders nel perseguire l’interesse sociale.

Interesse sociale che, in tale prospettiva, supera la tradizionale concezione incentrata sulla massimizzazione del profitto, diventando “composizione di interessi plurimi delle diverse categorie di azionisti, nei limiti degli interessi-altri, dei lavoratori, dei consumatori, delle comunità di riferimento, dell’ambiente, cioè degli stakheholders in generale, coordinati dagli amministratori in una sintesi in ultima istanza profit oriented che converge con l’interesse all’efficienza dell’ impresa” [16].

Come anticipato all’inizio, tale cambiamento, pur non potendo prescindere da un supporto a livello normativo, implica preliminarmente un cambiamento culturale. In questo senso l’integrazione dei fattori ESG nella gestione dell’impresa è una delle numerose sfide che il climate change e la disuguaglianza sociale impongono di affrontare tempestivamente come Amministratori, economisti, giuristi, ma soprattutto e in definitiva come donne e uomini parte di una comunità.

In tal senso, allo stato, non resta che attendere l’adozione delle future iniziative comunitarie sulla governance sostenibile (ed il loro effettivo recepimento da parte degli Stati membri), auspicando che queste ultime, unite al sempre maggiore interesse degli investitori verso le imprese sostenibili, siano in concreto sufficienti per finalizzare il percorso di integrazione degli ESG nelle strategie di business e nella gestione delle società.           
 


[1] Che eufemisticamente possono definirsi “sistemici”.
[2] In questo senso, nel 2015 le Nazioni Unite hanno definito l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, con 193 paesi membri dell’ONU che hanno condiviso un piano di azione finalizzato al raggiungimento di 17 obiettivi di sostenibilità. Nello stesso anno, gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite del 1992 hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, con cui sono stati individuati e condivisi più specifici obiettivi per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, soprattutto in termini di riduzione di emissione di CO2.  
[3] A ben vedere, un primo approccio europeo finalizzato a stimolare la considerazione di tematiche ESG in ambito societario, anche se circoscritto ai riflessi per i soli dipendenti e quindi per una singola categoria di Stakeholders, è avvenuto già con la Direttiva in materia di OPA (Direttiva 2004/25/CE), che ha imposto all’organo amministrativo della società target di pubblicare “un documento contenente il suo parere motivato sull'offerta, compreso il suo parere sugli effetti che il suo eventuale successo avrà su tutti gli interessi della società, compresa l'occupazione e sui piani strategici dell'offerente per la società emittente e le loro ripercussioni probabili sull'occupazione ed i siti di lavoro indicati nel documento di offerta” (Art. 9).

La Direttiva OPA è stata recepita in Italia con il D.Lgs n. 229 del 2007, che con l’introduzione del comma 3 bis dell’art. 103 TUF ha previsto l’obbligo dell’organo amministrativo della società target di inserire nel proprio comunicato sull’OPA “una valutazione degli effetti che l'eventuale successo dell'offerta avrà sugli interessi dell'impresa, nonché sull'occupazione e la localizzazione dei siti produttivi”.
[4] Cfr. Direttiva 2014/95/UE, considerando n. 3.    
[5] Definite dall’art. 1 della Direttiva 2014/95/UE come “enti di interesse pubblico e che superano, alla data di chiusura del bilancio, il criterio del numero medio di 500 dipendenti durante l'esercizio”.    
[6] Direttiva 2017/828/UE, che ha modificato ed integrato la Direttiva 2007/36/CE,

recepita in Italia con il D.Lgs n. 49/2019.
[7] Art. 9 bis, comma 6, SHRD II.      
[8] Art. 9 bis, comma 6, terzo paragrafo SHRD II.    
[9] Commissione europea, Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile, 2018.
[10] Final Report of the High-Level Expert Group on Sustainable Finance, 2018.

[11] Comitato italiano Corporate Governance, 7° rapporto sull’applicazione del Codice di Autodisciplina, Relazione 2019, pagg. 36 e 37.                  

[12] Tale studio è stato condotto da EY e pubblicato a luglio del 2020 (Study on directors’ duties and sustainable corporate governance).  
[13] Commissione europea, Inception Impact Assessment, Legislative and possible guidance Q1 2021 Governo societario sostenibile (europa.eu)     
[14] Sulla Proposta di direttiva della Commissione UE in materia di governo societario sostenibile e sull’impatto delle misure ivi previste sui doveri fiduciari degli amministratori si veda la Circolare Assonime n. 5/2021 – “Doveri degli amministratori e sostenibilità”.                       
[15] Come già avvenuto nell’ambito dell’Autodisciplina nella maggior parte degli Stati comunitari, compresa l’Italia. Cfr. il nuovo Codice di Autodisciplina pubblicato dal Comitato per la Corporate Governance nel 2020 ed in vigore dall’esercizio 2021 (Homepage - Borsa Italiana).        
[16] Paolo Montalenti, “L’interesse sociale: una sintesi”, Rivista delle Società, 2018, pag. 303. 
 

 

 

 

 

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