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Linee guida cambio operatore: Libertà di recesso e obblighi per gli operatori, tutte le novità della delibera Agcom


03/11/2018

L’Agcom ha recentemente pubblicato la delibera n. 487/18/CONS, recante le “Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione”. Molte le novità previste in tema di libertà di recesso, restituzione degli sconti promozionali, rateizzazione dei prodotti o servizi aggiuntivi e obblighi informativi, con l’obiettivo di favorire un più adeguato bilanciamento nella relazione contrattuale tra operatori e consumatori.         
La centralità del ruolo degli stakeholders emerge, non a caso, dal fatto che l’Autorità è pervenuta alla delineazione del testo finale anche grazie al dialogo con gli operatori televisivi e di telecomunicazioni e con le associazioni dei consumatori, mediante una Consultazione i cui esiti sono stati pubblicati contestualmente alle Linee guida.



Sintesi dei contributi alla Consultazione pubblica.          
La fruttuosa fase di confronto tra operatori e Autorità, avviata con delibera Agcom n. 204/2018/CONS, ha portato ad alcune modifiche allo schema di regolamento sottoposto a consultazione. Nonostante ciò, l’Agcom ha sostanzialmente confermato la propria visione sui punti cruciali, come per esempio la definizione dei concetti di “costo per la dismissione delle utenze” e di “valore del contratto” e le modalità di restituzione degli sconti promozionali. Il tutto, coerentemente con la Legge Concorrenza, al fine di massimizzare la libertà di recesso del consumatore.  

A dividere le opinioni tra operatori e Authority sono stati, in primo luogo, l’ambito temporale delle Linee guida e il trasferimento del credito residuo.



Nel primo caso, mentre alcuni operatori hanno sostenuto una possibile applicazione esclusivamente “pro futuro” delle Linee guida, con l’intento di non alterare le condizioni dei contratti già in essere, l’Agcom ha invece rimarcato la necessità di tutelare la libertà del consumatore indipendentemente dal momento della stipula del contratto. Per tale motivo, ai fini dell’applicazione delle Linee guida, andrà tenuto in considerazione esclusivamente “il momento in cui il diritto di recesso viene esercitato dall’utente”.        

Nel secondo caso, mentre alcuni stakeholders hanno chiesto che venisse attuato un meccanismo di trasferimento del credito residuo anche su un’altra SIM dell’operatore di provenienza, l’Authority ha bocciato la proposta, affermando che una simile evenienza “significherebbe mantenere in vita il rapporto contrattuale nonostante il cliente abbia deciso di recedere dal contratto”.        

Le discrepanze maggiori si sono però riscontrate sul calcolo dei costi sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza e sulla restituzione totale o parziale degli sconti promozionali.        

a) Calcolo dei costi sostenuti dall’operatore: il nodo è una differente visione del concetto di “valore del contratto”. Laddove gli operatori lo considerano un semplice termine di paragone rispetto all’importo richiedibile al consumatore in caso di recesso, l’Agcom ritiene che il valore del contratto rappresenti un limite invalicabile che la normativa pone alle spese sostenute dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza, anche laddove tali spese dovessero in concreto risultare maggiori.     
Sul tema, il ragionamento dell’Autorità è così sintetizzabile: se gli operatori avessero libera facoltà di determinare i costi di recesso, essi potrebbero “innalzarli artificiosamente” o anche solo “non efficientarli”, al fine di aumentare gli switching cost del recesso; un simile comportamento, però, sarebbe contrario all’obiettivo di favorire la piena libertà del consumatore e di promuovere l’assetto concorrenziale del mercato delle telecomunicazioni.  

Tuttavia, l’Agcom, anche in virtù delle opinioni espresse dagli operatori, ha ritenuto di dover apportare una lieve modifica alla propria definizione di “valore del contratto”. Nella bozza sottoposta a consultazione, il valore del contratto era pari alla “somma dei corrispettivi ancora dovuti”: ciò avrebbe però ridotto in maniera eccessiva i costi di un recesso effettuato in prossimità della scadenza del contratto. Pertanto, il nuovo indicatore del valore del contratto è il “prezzo implicito che risulta dalla media dei canoni che l’operatore si aspetta di riscuotere mensilmente da un utente che non recede dal contratto”.         

In altre parole, il valore del contratto – che rappresenta il limite invalicabile dei costi di recesso a carico del consumatore – non può superare il costo medio mensile dell’abbonamento.          

b) Restituzione degli sconti promozionali: alcuni operatori hanno reputato fondamentale poter addebitare l’intero valore della promozione agli utenti che recedano anticipatamente, e ciò al fine di assicurare un bilanciamento economico del contratto. “Gli operatori” si legge in proposito, “invitano l’Autorità a prevedere modalità di recupero degli sconti che, da una parte, consentano al cliente di avere una chiara e semplice quantificazione del costo per recesso anticipato e dall’altra consentano all’operatore di implementare un sistema dinamico e sostenibile per modulare gli oneri imputabili in caso di recesso anticipato”.
Sul punto si è però fatta sentire anche la voce di segno opposto delle associazioni dei consumatori: esse hanno rimarcato che alcune prassi degli operatori, consistenti nell’addebitare, al momento del recesso anticipato, la totalità degli sconti goduti, è fortemente limitante della libertà decisionale del consumatore.    
    
La soluzione adottata dall’Agcom è perciò una soluzione di compromesso, intermedia tra l’idea della restituzione integrale proposta da alcuni operatori e l’idea della restituzione “parziale e proporzionata alla durata della promozione offerta”, che era poi la soluzione originariamente messa a consultazione.   

L’Autorità, nel dirimere il tema degli sconti, parte infatti dalla considerazione che una restituzione integrale rappresenterebbe un limite eccessivamente condizionante al diritto di recesso anticipato. Oltretutto, la restituzione integrale degli sconti promozionali, sommando gli sconti mese dopo mese, porterebbe a situazioni paradossali, in cui l’utente che recede in prossimità della scadenza dovrebbe restituire una cifra maggiore (perché ha goduto di un maggior numero di sconti) rispetto a un utente che abbia effettuato il recesso a metà della durata del contratto. Il valore delle spese di recesso, in un simile scenario, raggiungerebbe la sua pienezza proprio in prossimità della scadenza della promozione.

Le Linee guida propendono così per una restituzione che tenga in considerazione la prossimità del recesso anticipato alla scadenza del contratto: il limite della restituzione sarà “pari alla differenza tra la somma dei canoni che l’operatore avrebbe riscosso qualora fosse stato applicato il prezzo implicito e la somma dei canoni effettivamente riscossi dall’operatore fino al momento del recesso”. In altre parole, dato un contratto di 24 mesi, un prezzo promozionale pari a 20€ (per i primi 12 mesi), un prezzo normale pari a 30€ (per i secondi dodici mesi) e un prezzo implicito pari a 25€ (la media tra prezzo normale e prezzo scontato), un utente che recedesse al dodicesimo mese si ritroverebbe a dover restituire la differenza tra il prezzo implicito che avrebbe pagato (25€) e il prezzo scontato che invece ha pagato in concreto (20€) durante i dodici mesi di abbonamento che ha fruito prima di recedere. Perciò, dovrebbe restituire la risultante del seguente calcolo: (25€ * 12) – (20€ * 12) = 60€.

Si è riscontrata, infine, concordanza tra operatori e Agcom sul tema del pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale: il fulcro del discorso è la concessione al cliente della facoltà di scegliere se continuare a pagare le rate residue o se invece pagare in un’unica soluzione l’importo residuo del servizio o del prodotto offerto in abbinamento al servizio principale (per esempio, lo smartphone offerto in aggiunta al servizio di telefonia mobile).            

Le Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione.    
L’obiettivo primario delle Linee guida è, in accordo alla Legge Concorrenza, assicurare una concreta e piena libertà di scelta al consumatore in merito alla facoltà di recedere da un contratto per adesione. Il che passa per un necessario contemperamento tra i benefici in termini decisionali, economici e informativi previsti per il singolo utente e le esigenze di business degli operatori, anche a vantaggio della struttura concorrenziale dei mercati di riferimento. A tal fine, le Linee guida disciplinano i seguenti campi: ambito di applicazione, credito residuo, modalità e spese di recesso, e obblighi informativi.  

1) L’ambito di applicazione: l’Agcom precisa in prima battuta che le Linee guida “si applicano ai rapporti tra operatori e coloro, persone fisiche o giuridiche, che sottoscrivono o intendono sottoscrivere un contratto per adesione per la fornitura di servizi di telefonia, televisive e di comunicazione elettronica”, laddove con la dicitura “contratto per adesione” si fa riferimento alla definizione tradizionale di un accordo predisposto interamente da una delle parti, senza che l’altra abbia alcuna facoltà di negoziarne i termini e il contenuto.

2) Il credito residuo: la definizione di credito residuo è individuata dall’Agcom nell’ “importo prepagato, non ancora utilizzato, ricaricato autonomamente dall’utenza”. Un importo che, perciò, non comprende quanto riconosciuto all’utente “in forma di bonus, promozione o altra iniziativa dell’operatore”.          
Come già previsto dal Decreto Bersani, perciò, è considerato credito residuo solo l’importo in relazione al quale l’utente abbia effettuato un esborso. 
Per quanto riguarda, infine, il riconoscimento e il trasferimento del credito residuo, in caso di portabilità del numero, tali diritti sono confermati dall’Agcom anche per il periodo successivo allo scioglimento del rapporto contrattuale con l’operatore.    

3) Il Recesso e il trasferimento delle utenze: richiamando la normativa di primo livello, l’Agcom ricorda che, in caso di recesso, le spese devono essere commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall’azienda, nel senso già chiarito di un costo che non può eccedere il valore medio mensile dell’abbonamento.      
In particolare, le Linee guida specificano che nelle spese di recesso (ossia la categoria di switching cost più significativa per il consumatore), devono essere ricomprese tutte le categorie di costi addebitabili dall’operatore, e in particolare le seguenti tre:

a) i costi sostenuti dall’operatore per dismettere o trasferire l’utenza;

b) la restituzione totale o parziale degli sconti sui servizi e sui prodotti;

c) il pagamento delle rate residue relative ai servizi e ai prodotti offerti congiuntamente al servizio principale.

In relazione alle tre categorie di costi, le Linee guida dispongono regole parzialmente differenti.

a) Per le spese di recesso della prima categoria (cioè i costi “vivi” sostenuti dall’operatore per la dismissione o il trasferimento dell’utenza), l’ammontare è ancorato al valore del contratto, cioè al costo medio mensile dell’abbonamento. Perciò le spese di recesso di tale tipologia “non possono eccedere il valore minimo tra il prezzo implicito dell’offerta ed i costi realmente sostenuti dall’operatore”. E ciò anche laddove i costi sostenuti dall’operatore siano in realtà maggiori e giustificati rispetto al valore del contratto.     

Si tratta di un vincolo dinamico, volto a bloccare la richiesta dell’operatore entro un range alternativo ma circoscritto. Per esempio, a parità di valore del contratto (9€), un operatore che abbia sostenuto costi per 7€ potrà chiedere esclusivamente tali 7€, mentre un operatore che abbia sostenuto costi per 14€ potrà chiedere solo i 9€ di valore del contratto. Il cap a livelli, perciò, fa sì che l’operatore debba limitarsi a chiedere, in alternativa, o i costi effettivamente sostenuti (se inferiori al valore del contratto), o il valore del contratto (se i costi effettivamente sostenuti sono superiori). In tal senso, come già ricordato, l’apposizione di un tetto massimo alle spese di recesso vuole impedire che gli operatori innalzino artificiosamente gli switching cost, limitando la libertà di scelta del consumatore.         

b) Per le spese di recesso della seconda categoria (cioè la restituzione degli sconti sui servizi e sui prodotti), l’Agcom precisa che non trova applicazione il principio dei costi reali sostenuti dall’operatore. Invece, tali spese devono essere “proporzionate al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta”, secondo una soluzione intermedia tra quella messa a consultazione e quella proposta dagli operatori, che consiste nell’agganciare la restituzione al limite della “differenza tra la somma dei canoni che l’operatore avrebbe riscosso qualora fosse stato applicato il prezzo implicito e la somma dei canoni effettivamente riscossi dall’operatore fino al momento del recesso”.         
Pertanto, una volta definito il prezzo implicito come la differenza tra il prezzo “normale” e il prezzo “scontato” del prodotto o servizio, giova ribadire che le spese di restituzione per sconti su servizi e prodotti dovrebbero essere calcolate in base alla seguente formula matematica:   

(Prezzo Implicito * Numero dei canoni riscossi) – (Prezzo scontato * Numero dei canoni riscossi)

Dato un contratto di 24 mesi, se il prezzo promozionale fosse pari a 20€ per i primi 12 mesi e il prezzo normale fosse pari a 30€ per i restanti 12 mesi, il prezzo implicito sarebbe 25€, e le spese di restituzione al dodicesimo mese sarebbero:      

(25€ * 12) – (20€ * 12) = 60€

In altre parole, lo sconto da restituire è pari alla differenza tra la cifra che l’operatore avrebbe ricavato facendo pagare all’utente il prezzo implicito e la cifra effettivamente riscossa con il prezzo scontato. In tal modo, l’Agcom ritiene di poter tutelare almeno parzialmente l’aspettativa di guadagno dell’operatore, senza però gravare l’utente di costi eccessivi. 

c) Per le spese della terza categoria (cioè il pagamento delle rate residue su servizi e prodotti offerti congiuntamente al servizio principale, come può essere per esempio uno smartphone in abbonamento o la configurazione della linea telefonica), l’Agcom esclude che, in caso di recesso anticipato, l’operatore possa addebitare in un’unica soluzione l’importo delle rate che l’utente deve ancora pagare. Infatti, il pagamento unico di un importo che l’utente si prefigurava pagabile a rate potrebbe comportare un costo troppo elevato, deteriorando così la sua libertà di recesso. Perciò, “gli operatori devono sempre concedere agli utenti che decidono di recedere anticipatamente dal contratto la facoltà di scegliere se continuare a pagare le rate residue ovvero pagarle in un’unica soluzione”.  

4) Gli obblighi informativi e di comunicazione: l’Agcom prevede, infine, che tutte le categorie di spese relative al recesso o al trasferimento dell’utenza debbano essere rese note dall’operatore all’utente sia nel momento della pubblicizzazione dell’offerta sia nella fase della sottoscrizione del contratto.    
Inoltre, le Linee guida rivestono di una particolare importanza il dialogo tra gli operatori e l’Agcom, prevedendo che i primi comunichino annualmente alla seconda i costi sostenuti “per le attività di dismissione e trasferimento della linea” e che l’Autorità confronti le voci di spesa e suggerisca i correttivi da apportare.


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