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Direttiva (UE) 2019/1023: novità in tema di ristrutturazione preventiva, insolvenza ed esdebitazione
Il Legislatore europeo privilegia la tutela dei posti di lavoro e la preservazione dell’attività imprenditoriale

05/07/2019

Consolidare e armonizzare il mercato unico europeo, offrendo agli operatori economici un perimetro normativo caratterizzato da procedure certe e trasparenti, è un obiettivo che l’Unione persegue anche nella fase critica dell’attività d’impresa, quella dell’insolvenza.   

A questo proposito, la Direttiva UE 2019/1023 (appunto, “direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza”) mira ad avvicinare le normative nazionali in materia, rafforzando quel cambio di passo – e di mentalità – che ha notoriamente interessato, nel tempo, anche le procedure concorsuali: fare in modo che le situazioni di difficoltà debitoria siano identificate in anticipo, prevenendo le crisi d’impresa e sfruttando al meglio le opportunità di ripresa e di preservazione dell’attività aziendale.



Nel farlo, la Direttiva tiene in debita considerazione e contempera le principali esigenze coinvolte nell’attività d’impresa, tra cui la massimizzazione del valore totale per i creditori, il mantenimento del know-how aziendale, la tutela dei lavoratori. A proposito di questi ultimi, ad esempio, l’art. 13 prevede che la ristrutturazione preventiva dell’impresa lasci impregiudicati i diritti individuali e collettivi dei lavoratori, come il diritto all’informazione sull’andamento e sull’evoluzione della procedura, oltre a tutte le altre tutele previste dal diritto del lavoro.       

Per garantire la resilienza dell’economia europea e la concreta attuazione delle libertà economiche fondamentali sancite dai Trattati, è quindi necessario armonizzare ed ammodernare il quadro normativo di riferimento nel senso di assicurare, laddove possibile e con le opportune modificazioni, la continuità aziendale dell’impresa in difficoltà.



Il favor per la soluzione preventiva, in luogo della liquidazione, incontra tuttavia ancora rilevanti ostacoli nella difformità delle condizioni di accesso al credito e dei tassi di recupero, con ripercussioni e costi maggiorati non solo per le imprese con stabilimenti in più Stati membri, ma anche per gli investitori internazionali e per le catene di approvvigionamento e di distribuzione.

Passaggi obbligati al fine di neutralizzare queste problematiche e raggiungere gli obiettivi fissati sono, oltre alla delineazione di una più efficace e flessibile normativa sulla ristrutturazione preventiva, anche una più agevole e uniforme procedura di esdebitazione e, in generale, una riduzione di costi e tempi delle procedure.

Proprio sulle tempistiche il ragionamento si fa stringente: “Quanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un’insolvenza imminente o, nel caso di un’impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione” (Considerando 22). 
               
Va da sé, allora, che uno dei punti focali della Direttiva sia predisporre strumenti di allerta precoce delle situazioni che potrebbero comportare insolvenza, strumenti che l’art. 3 individua, a titolo esemplificativo, nei meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; nei servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o privati; negli incentivi rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore (es. contabili e autorità fiscali), affinché essi segnalino al debitore gli andamenti negativi.    

La sveltezza e lo snellimento delle procedure è un tratto che riguarda anche l’esdebitazione, con l’art. 21 che fissa in tre anni il termine massimo entro il quale l’imprenditore insolvente può essere liberato integralmente dai propri debiti, e con l’art. 22 che lega il regime del periodo di interdizione a questi stessi termini. Simili disposizioni rappresentano, in effetti, un corollario del tentativo di non ‘demonizzare’ l’impresa debitrice e, soprattutto, di non emarginare l’imprenditore dal mercato, consentendogli invece di ricominciare l’attività d’impresa entro tempi ragionevoli e uniformi in tutta Europa.                 

Alla tutela della figura dell’imprenditore, e alla predetta necessità di garantire dove possibile la continuità aziendale, rispondono poi le previsioni degli articoli 5 e 6 della Direttiva.   

In particolare, l’art. 5 dispone che il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva mantenga il controllo (almeno parziale) della gestione corrente dell’impresa, con la nomina del professionista che diventa opzionale, da decidere caso per caso, a fini di vigilanza/sostituzione nelle operazioni. L’assistenza del professionista è tuttavia obbligatoria: a) se l’autorità amministrativa o giudiziaria la ritenga necessaria per tutelare gli interessi delle parti a seguito di una sospensione delle azioni esecutive individuali; b) se il piano di ristrutturazione deve essere omologato mediante ristrutturazione trasversale dei debiti; c) se la nomina del professionista è richiesta dal debitore o dalla maggioranza dei creditori.           

L’art. 6 disciplina invece la sospensione temporanea totale o parziale delle azioni esecutive individuali sul debitore, in modo da facilitare le trattative in corso di ristrutturazione e da mantenere il valore della massa fallimentare. La sospensione, inoltre, è prorogabile fino a raggiungere una durata massima di 12 mesi, è respingibile dall’autorità giudiziaria o amministrativa (se non necessaria all’obiettivo poc’anzi individuato) ed è revocabile (laddove non soddisfacesse più l’obiettivo o recasse ingiusto pregiudizio a uno o più dei creditori).    

La Direttiva, inoltre, non manca di specificare il regime di inapplicabilità delle procedure delineate a debitori che siano imprese di assicurazione o riassicurazione, enti creditizi, imprese di investimento o organismi di investimento collettivo, controparti centrali, depositari centrali di titoli, altri enti finanziari, enti pubblici, persone fisiche diverse da imprenditore (Art. 1). Il medesimo articolo chiarisce altresì le categorie di crediti nei confronti dei quali la ristrutturazione preventiva non dispiega effetti: crediti di lavoratori ed ex lavoratori, alimentari, derivanti da responsabilità extracontrattuale.            

Naturalmente, anche la disciplina di dettaglio del piano di ristrutturazione è contenuta nel corpus normativo (artt. 8-10), prescrivendone contenuti, modalità di adozione e omologazione. Su tale ultimo profilo, si segnala in particolare che i piani che incidano sui crediti di parti dissenzienti, che prevedano nuovi finanziamenti e che comportino la perdita di oltre il 25% della forza lavoro sono vincolanti solo se omologati dall’autorità.  


© Graziadei Studio Legale


Ulteriori informazioni: Direttiva UE 2019/1023 scaricabile in pdf

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