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Garante Privacy: arrivano i chiarimenti in materia di Covid-19 e test sierologici sul luogo di lavoro


14/05/2020

Il datore di lavoro può richiedere ai propri dipendenti di effettuare test sierologici? E può trattare le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore? E quali regole valgono per le categorie di lavoratori più a rischio contagio?          

A queste domande, di particolare rilevanza nella perdurante emergenza legata al Covid-19, ha fornito oggi una risposta il Garante Privacy, fissando limiti e modalità del trattamento dei dati sanitari del lavoratore nell’ambito della prevenzione e dei protocolli di sicurezza anti-contagio nei luoghi di lavoro. Quanto espresso dal Garante vale sia per le pubbliche amministrazioni sia per le imprese private.



TEST SIEROLOGICI ED ESAMI DIAGNOSTICI. Il datore di lavoro può richiedere ai dipendenti di effettuare test sierologici solo su specifica disposizione del medico competente o, comunque, di un professionista sanitario, in base alla normativa di emergenza Covid-19. Il medico del lavoro, nello svolgimento della sorveglianza sanitaria, può infatti stabilire la necessità di particolari esami, nonché suggerire l’adozione di mezzi diagnostici, se li ritiene utili al fine del contenimento della diffusione del virus nei luoghi di lavoro.             

Spetterà sempre al medico competente la predisposizione di visite, accertamenti ed esami diagnostici, anche finalizzati alla riammissione del dipendente nel luogo di lavoro.         

Il datore di lavoro può anche stipulare polizze sanitarie o convenzioni con strutture sanitarie pubbliche o private per offrire ai propri dipendenti l’effettuazione di test sierologici (anche sostenendone i costi in tutto o in parte). 



Il datore di lavoro non può comunque conoscere l’esito di questi esami.  

TRATTAMENTO DELLE INFORMAZIONI. Salvi i casi espressamente previsti dalla legge, il datore di lavoro non può trattare le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore (es. consultazione dei referti, esiti degli esami). Può invece trattare i dati relativi al giudizio di idoneità del lavoratore alla mansione svolta e alle eventuali prescrizioni o limitazioni stabilite dal medico competente.       

LAVORATORI A RISCHIO. La partecipazione agli screening sierologici preventivi da parte di lavoratori appartenenti a categorie particolarmente a rischio di contagio Covid-19 (es. operatori sanitari e forze dell’ordine) può avvenire solo su base volontaria.     

Altri chiarimenti relativi a sicurezza sul lavoro e privacy nel periodo di emergenza Covid-19.                   

RILEVAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA.
La normativa di emergenza (e in particolare il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro) impone ai datori di lavoro, le cui attività non siano sospese, l’osservanza di una serie di misure preventive. Tra queste è prevista la rilevazione della temperatura corporea del personale, prima dell’accesso a locali e sedi aziendali. Tale misura è peraltro attuabile anche nei confronti di utenti, visitatori e clienti dei locali aziendali, nonché dei fornitori, se per essi non si predispone una modalità di accesso separata.

L’unione tra dato acquisito con la rilevazione della temperatura e dato relativo all’identità del dipendente rappresenta una tipologia di trattamento di dati personali. In questi casi, in accordo al principio di minimizzazione dei dati, è consentito registrare la sola circostanza del superamento della soglia di temperatura prevista dalla legge (37,5 gradi), e solo se la registrazione è finalizzata a documentare le motivazioni che hanno precluso l’accesso ai locali aziendali.

La rilevazione della temperatura corporea nei confronti del cliente o di un visitatore, qualora la temperatura risulti sopra soglia, non comporta invece neppure la necessità di registrare il dato relativo al motivo della preclusione dell’accesso.                  

AUTODICHIARAZIONE SU ESPOSIZIONE AL CONTAGIO. La normativa di emergenza preclude l’accesso ai luoghi di lavoro a quei dipendenti che, negli ultimi 14 giorni, abbiano avuto contatti con soggetti positivi al Covid-19 o provengano da zone ritenute a rischio secondo le indicazioni dell’OMS. Pertanto, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore, prima di consentirgli l’accesso ai luoghi di lavoro, una dichiarazione che escluda l’esistenza di tali due circostanze. Una simile dichiarazione può inoltre essere richiesta anche ad altri soggetti, quali utenti e visitatori dei locali aziendali.       

In questi casi, il datore di lavoro dovrà raccogliere solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alle finalità (cioè prevenzione del contagio da Covid-19). Dovrà quindi astenersi dal chiedere informazioni aggiuntive, quali ad esempio informazioni sulla persona risultata positiva, sulle località di provenienza o comunque qualsiasi altra informazione non pertinente e relativa alla vita privata dell’interessato. 

 

COMUNICAZIONE DELL’IDENTITA’ DEL DIPENDENTE CONTAGIATO. A meno di apposita previsione normativa, il datore di lavoro non può comunicare il nome del dipendente contagiato. Egli non può quindi effettuare una simile comunicazione né al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, né agli altri lavoratori.     

Il datore di lavoro è invece tenuto a comunicare l’identità del dipendente contagiato alle autorità sanitarie competenti, anche al fine di collaborare con esse per l’individuazione dei contatti stretti del dipendente contagiato.    

In caso di presenza di persona contagiata nei locali aziendali, il datore di lavoro, oltre ad attuare le misure di sanificazione dei locali, è tenuto ad adottare tutte le adeguate misure preventive nei confronti della persona affetta (es. isolamento del dipendente contagiato, contatto con le autorità sanitarie, fornitura di apposita mascherina), ma sempre tutelando riservatezza e dignità del soggetto coinvolto.

 

IL RUOLO DEL MEDICO COMPETENTE. Nella fase di emergenza Covid-19, la sorveglianza sanitaria ad opera del medico competente diviene un utile strumento di prevenzione del contagio. Tale pratica coinvolge ad esempio la possibilità di sottoporre i lavoratori a visite straordinarie o la segnalazione al datore di lavoro di situazioni di particolare fragilità e di patologie dei dipendenti. La sorveglianza sanitaria deve comunque essere effettuata nel rispetto della privacy (es. è fatto divieto al medico di informare il datore di lavoro circa le specifiche patologie dei lavoratori).            

Il medico competente collabora inoltre con il datore di lavoro e con le RLS/RLST per individuare le adeguate misure di regolamentazione (es. protocolli aziendali) legate al Covid-19.


In tutti questi casi il datore di lavoro può trattare i dati personali dei dipendenti solo se è normativamente previsto dagli organi competenti o su segnalazione del medico competente.

Per ulteriori informazioni: studio@graziadeistudiolegale.it

Dal link sottostante è possibile raggiungere la pagina ufficiale del sito del Garante Privacy contenente tutti i chiarimenti in materia. 

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