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Garante Privacy su smart working e su controlli datoriali anti-Covid: diritto alla disconnessione e tracciamento volontario a tutela dell’autodeterminazione del dipendente


20/05/2020

SMART WORKING E DISCONNESSIONE. «Il ricorso intensivo alle nuove tecnologie per rendere la prestazione lavorativa non può […] rappresentare l’occasione per il monitoraggio sistematico e ubiquitario del lavoratore, ma deve avvenire nel pieno rispetto delle garanzie sancite dallo Statuto a tutela dell’autodeterminazione

E’ questa, in estrema sintesi, la posizione del Garante Privacy in tema smart working, espressa durante una recente audizione al Senato avente ad oggetto “Ricadute occupazionali dell'epidemia da Covid-19, azioni idonee a fronteggiare le situazioni di crisi e necessità di garantire la sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro”.

In un contesto emergenziale  in cui le tecnologie di tracciamento e le restrizioni possono portare a un rischio assuefazione rispetto alla «progressiva perdita di libertà», dunque, è di particolare importanza che le limitazioni siano costantemente oggetto di valutazione nella loro proporzionalità e necessarietà.



Tali limitazioni, tuttavia, non possono ricomprendere l’uso improprio delle tecnologie a fini di monitoraggio del lavoro in remoto. A questo proposito – è l’esempio del Garante – non sarebbe dunque lecito fornire al dipendente un dispositivo (es. pc) in grado di svolgere un «monitoraggio sistematico e pervasivo» delle sue attività.           

Il diritto alla disconnessione, strumento della corretta ripartizione tra sfera lavorativa e sfera privata, si lega in questo senso alle (e anzi si fa scudo delle) garanzie apportate nel sistema dalla protezione dei dati personali, la quale rappresenta il fondamento della «autodeterminazione del lavoratore». Ciò affinché il binomio sempre più stretto tecnologia/lavoro, in ambito emergenziale e non, possa realmente rappresentare un fattore abilitante del progresso sociale.

I CONTROLLI ANTI-CONTAGIO. Nel discorso del Garante trova poi spazio anche il bilanciamento tra privacy e sicurezza del lavoro,



incardinato su quella «asimmetria» che caratterizza il rapporto tra datore di lavoro e dipendente. In questo senso, la contestualizzazione di tale bilanciamento sui binari dell’emergenza, elemento che indubbiamente incide sulla sfera privata del lavoratore (ad esempio con il tracciamento dei contatti o con i controlli datoriali a fini anti-contagio), lascia emergere la necessità di una solida cornice normativa e di adeguate garanzie per la parte contrattuale debole, ossia il lavoratore.                        

IL CONTACT TRACING. E proprio in ambito contact tracing (qui il nostro articolo sul funzionamento di Immuni), emerge un quadro di particolare chiarezza. Il tracciamento dei contatti, avverte infatti il Garante, «non può essere imposto ai lavoratori». La base volontaria su cui si fonda la data collection delle app di contact tracing, dunque, non deve essere influenzata dalla prefigurazione di conseguenze lavorative sfavorevoli in caso di mancato utilizzo da parte del dipendente.              

DATORE DI LAVORO E PRIVACY. Altra garanzia significativa per il lavoratore, di cui il datore di lavoro deve tenere conto, è la separazione di ruoli e di assetto informativo tra datore stesso e medico competente, in una fase storica in cui elementi come la rilevazione della temperatura corporea, l’obbligo di comunicazione all’autorità sanitaria dei nominativi dei dipendenti contagiati o la segnalazione da parte del lavoratore della provenienza da zone a rischio o di contatti con persone contagiate, possono dare spazio a commistioni informative, tra datore e medico competente, che non sono giustificate dalla disciplina lavoristica (qui il nostro approfondimento sul recente Protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro).       

In particolare, ricorda il Garante, il datore deve adempiere i propri obblighi relativi alla sicurezza dei lavoratori senza «avere cognizione diretta delle loro patologie ma disponendo dei soli elementi fondativi del giudizio di idoneità alla mansione specifica». Il medico competente, invece, nella sua veste di professionista sanitario, potrà condurre la valutazione circa l’opportunità di sottoporre i lavoratori a specifici esami diagnostici a fini anti-contagio. Ciò richiama, peraltro, la recente affermazione, sempre del Garante, sull’impossibilità da parte del datore di lavoro di richiedere ai propri dipendenti l’effettuazione di test sierologici anti covid-19 (qui un nostro approfondimento sul tema).    

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