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Graziadei Studio Legale segnala un’importante sentenza della Corte d’Appello di Bari in tema di derivati


22/05/2023

 Con la sentenza n. 702/2023 del 3.05.2023 la Corte d’Appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado n. 2216/2018 del Tribunale di Foggia, ha accolto l’appello in tema di derivati, proposto per conto di una primaria Banca italiana, difesa da Graziadei Studio Legale con gli Avv.ti Francesco Trotta e Massimo Di Rito e dallo Studio Legale Clarizia con il Prof. Avv. Angelo Clarizia.



La pronuncia riguarda una fattispecie di azione di un Ente territoriale diretta ad ottenere la restituzione da parte della Banca dei soli c.d. “costi impliciti”, poiché l’Ente, avendo ottenuto dall’operatività in derivati differenziali positivi, non aveva interesse a far dichiarare la nullità del contratto.   
La Corte d’Appello di Bari, reinterpretando la CTU svolta in primo grado, facendo leva sul fatto che i profili più critici della sentenza c.d. “Cattolica” – Cass. ss.uu. n. 8770/2020 – non rilevavano nel caso di specie, non essendovi domanda di nullità dell’IRS e neppure domanda risarcitoria per violazione degli obblighi informativi, ha ritenuto che la Banca non fosse tenuta a restituire i costi impliciti, trattandosi di un legittimo margine di guadagno.  
La sentenza, a seguito della concreta e specifica valutazione del caso, sia sotto l’aspetto relativo alla documentazione contrattuale che in merito alla normativa tempo per tempo applicabile, ha concluso per l’accoglimento dell’appello proposto dall’Intermediario, riformando



la sentenza di primo grado e, previo rigetto della domanda di ripetizione di indebito ex art.2033 c.c. formulata dall’Ente, ha condannato quest’ultimo a restituire alla Banca quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado.       
Si tratta di una pronuncia condivisibile sul piano del metodo, perché la Corte ha provveduto ad un esame dettagliato di ogni aspetto della controversia, senza limitarsi ad applicare soluzioni generiche e standardizzate, come gran parte dei recenti provvedimenti in tema di strumenti finanziari derivati. 
Pertanto, con un esame condotto sul caso specifico, attraverso un approccio concreto, e previa verifica della qualità delle parti, la sentenza, richiamando anche quanto espresso nella sentenza Cass. ss.uu. n. 8770/20, ha affermato, da un lato, che “il riequilibrio di uno swap non par non è obbligatorio, giacché esso “può” avvenire” e, dall’altro, che “nel caso in cui non vi sia la clausola upfront (ovvero essa copra solo in parte lo squilibrio), il costo dell’operazione – id est il minor upfront versato – rappresenta il compenso dell’intermediario per il servizio fornito”.
Trova dunque conferma la circostanza che “il pagamento del c.d. upfront non è reso obbligatorio da alcuna norma di legge, ma rientra nella libera determinazione contrattuale, così come la sua quantificazione non è affatto vincolata alla matematica differenza tra i mark to market al momento della stipula; anzi essa rappresenta, letteralmente, solo “una parte” dei flussi in entrata, attualizzati”.   
Infatti, “il ricordato sillogismo [cioè il sillogismo che portava l’Ente territoriale a ritenere che la somma trattenuta dalla banca rappresentasse un costo occulto, n.d.r.] si fonda sull’assunto che sussista un obbligo da parte della banca di ristabilire l’equilibro tra le parti e che l’upfront da questa versato debba essere obbligatoriamente corrispondente alla differenza tra i mark to market delle parti. Tale assunto non è affatto dimostrato, in quanto non vi è alcun obbligoNé si rinviene, come già detto, la natura di obbligo in alcuna norma primaria o secondaria”.
Peraltro, la Corte d’Appello di Bari mette in chiaro che il preteso obbligo per cui al momento della stipula il valore del derivato debba essere par, non può certo farsi discendere né (i) dall’allegato 3 al regolamento Consob n. 11522/98, posto “che si tratta di una mera descrizione dell’investimento senza che da essa possa trarsi la conseguenza che un eventuale valore positivo o negativo iniziale (che è dato anche come probabile in tempi brevi) possa comportare un obbligo giuridico di perfetto riequilibrio”; né (ii) dall’“Audizione del Direttore Generale della Consob dott. Massimo Terzon avanti la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati”, che, certamente, non può assurgere a rango di normazione primaria o secondaria e neppure di interpretazione giurisprudenziale”.  
In realtà, ciò che andava verificato, secondo la Corte, era “se fossero state trattenute da parte della banca (o pagate da parte del Comune) somme non dovute in base al contratto e, quindi, prive di un titolo di giustificazione, che fosse il margine di guadagno della banca o altri costi che questa dovesse sostenere”.     
In considerazione di quanto precede, quindi, “tali costi non erano occultie non potevano certamente essere qualificati in termini di “commissioni”, istituto afferente l’ipotesi della intermediazione ed evidentemente estraneo alla negoziazione in proprio, in ogni caso essi non potevano qualificarsi come “indebiti” o “ingiustificati”, perché rispondenti esattamente alle obbligazioni contrattuali”.        
Pare inoltre utile evidenziare che la Corte, pur avendo bene a mente la recente e prevalente giurisprudenza della Cassazione sui derivati, sembrerebbe interpretare i requisiti della causa e dell’oggetto dello swap in linea con gli orientamenti tradizionali, restando fedele alla distinzione tra regole di validità e regole di condotta da tempo stabilita dalle Sezioni Unite con le fondamentali sentenze n. 26724 e 26725/2007.  
Si legge infatti che “è corretta l’affermazione del Tribunale di Foggia, secondo cui il Comune investitore deve essere posto in condizione di conoscere esattamente quali sono i rischi connessi con l’operazione che sta intraprendendo, alla luce della probabile evoluzione delle variazioni dei tassi (i c.d. “possibili scenari” evocati dalla più recente giurisprudenza), tanto più che la funzione degli swap sottoscritti da Enti Locali non può essere speculativa ma solo di contenimento della spesa pubblica, ma l’eventuale violazione degli obblighi informativi si traduce soltanto in un obbligo risarcitorio da parte della banca, che, nel caso presente non è stato azionato”.  

 

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